L’EDITTO DELLE CHIUDENDE: LA RIFORMA SABAUDA IN SARDEGNA CHE FAVORI’ I RICCHI POSSIDENTI

L’Editto delle chiudende, o più precisamente il “Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna”, fu un provvedimento legislativo emanato il 6 ottobre 1820 dal re di Sardegna Vittorio Emanuele I e pubblicato nel 1823.

Con questo atto si autorizzava la recinzione dei terreni privati di fatto, ma da secoli e secoli soggetti all’uso collettivo, allargando così l’ambito di godimento della proprietà perfetta.

L’Editto, dunque, diversamente da quanto comunemente si crede non introdusse la proprietà privata nel Regno di Sardegna, attestata fin dal Medioevo; né riguarda cosiddette terre pubbliche e comuni, come si evince da uno dei passaggio cruciali della norma, il quale autorizzava “qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d’abbeveratoio”.

In Sardegna la riforma agraria del governo sabaudo, sollecitata da diversi studi economici svolti in precedenza, non tenne conto della diversità dei vari territori sardi e soprattutto del fatto che nell’isola vigeva ancora il sistema feudale (che l’impero spagnolo aveva importato), e che ciò si innestava nel sistema tradizionale degli “ademprivi” (fondi rustici di uso comune e collettivo), rendendo la situazione giuridica dei terreni altamente complessa.

L’uso degli ademprivi, inoltre, prevedeva la rotazione degli impieghi della terra, che un anno era destinata a pascolo e l’anno successivo a seminagione (semina) secondo determinazioni comunitarie locali.

Se da un lato l’operato del governo puntava a risanare l’agricoltura ristrutturando la rete dei “monti granatici e d’abbondanza” (l’ammasso cui conferire le produzioni agricole frumentarie), dall’altro era costretta a creare nel 1807 i “monti di riscatto”, monti di pegno resisi indispensabili dopo che l’usura aveva raggiunto livelli preoccupanti per l’ordine sociale.

La pastorizia, nelle sue millenarie tradizioni, era debole e disturbante nell’ottica economica italiana: se già il Gemelli aveva sottolineato come l’istituto dell’alternanza nell’uso delle terre recasse gravi danni da mancato guadagno e da freno contro gli investimenti, altri studiosi consideravano una “piaga” il modo di allevamento semi-brado caratteristico della Sardegna.

L’editto infranse il tradizionale principio “ubi feuda, ibi demania” (dove ci sono beni feudali, là ci sono i demani) che faceva parte del diritto intermedio già da diverso tempo.

Fu accolto subito con criticità da alcuni conoscitori dell’Isola, in particolare da Vittorio Angius, che nel 1822 scriveva che “i pastori cominciarono a maledire irreligiosamente l’editto delle chiudende e a cercare di reprimere l’ambizione di alcuni chiudenti […]. Queste doglianze furono dall’Ufficio economico della provincia trovate giuste; non pertanto la invocata legge restò inerte”.

Gli effetti dell’editto furono di diverse nature.

Il marchese Ettore Veuillet d’Yenne, nel 1820 era Luogotenente Generale, sarebbe divenuto viceré quando nel 1821 Carlo Felice, suo immediato predecessore, divenne re.

Il marchese, la cui reputazione militare era di massimo prestigio, ebbe la luogotenenza e raggiunse l’isola proprio pochissimo tempo dopo l’emanazione dell’editto, nel novembre dello stesso anno.

Fu viceré fino al 1822 (e gli successero nella carica il conte conte Galleani d’Agliano e, nel 1823, il conte Roero di Monticelli); scrisse due relazioni, la prima il 22 settembre 1832, la seconda il successivo 6 ottobre, che ne contengono una cronaca sufficientemente istruttiva:

“È veramente eccessivo l’abuso che fecesi delle chiudende da alcuni proprietari. Siffatto abuso è quasi generale. Si chiusero a muro ed a siepe dei boschi ghiandiferi, si chiusero al piano e ai monti i pascoli migliori per «obbligare i pastori a pagarne un altissimo fitto» e si incorporarono perfino le pubbliche fonti e gli abbeveratoi per meglio dettare ai medesimi la legge”.

Rincarando la dose, aggiunse che l’editto «giovò soltanto nella sua esecuzione ai ricchi e potenti». Sic

La reazione pratica infatti era stata la corsa alle chiusure da parte di chi aveva la possibilità di farlo, e fra questi non erano i molti che non vennero a conoscenza del provvedimento se non a chiusure ormai completate.

Corsa, come riferito dallo Yenne (Viceré di Sardegna dal 1821 al 1822), caratterizzata dalla diffusione degli abusi da parte di coloro che «non ebbero ribrezzo di cingere immense estensioni di terreni […] al solo oggetto di far pagare a caro prezzo ai pastori e ai contadini la facoltà di seminarvi ed il diritto di far pascolare i loro armenti».

Conseguenza della corsa a chiudere, cui si riferiscono i versi attribuiti al poeta Melchiorre Murenu (riportati in alto), fu un diffuso malcontento popolare, che ben presto sfociò in violenza e disordini.

Sempre dalla relazione del viceré si apprende (per aver egli assunto le “più accurate informazioni”) che gli incidenti cominciarono a Gavoi, con l’abbattimento di tre “chiusi” e con «discussioni fra li demolitori e danneggiati»; seguitarono poi alla vicina Mamoiada e poi a Nuoro, Fonni, Bitti ed altri paesi, «portando in tutti codesti luoghi devastamenti, incendi e rovine, e segnatamente in Benetutti, il di cui aspetto mette orrore al passeggiero».

Da queste azioni delittuose contro i beni, si passò presto a quelle contro le persone e si ebbero anche omicidi.

Secondo lo Yenne da un lato vi era l’avidità di alcuni proprietari, che chiusero anche pubbliche strade e beni comunali, mentre dall’altro vi era una «irragionevole bramosia de’ silvestri pastori di un’illimitata libertà di pascolare i loro armenti in cui ripongono unicamente ogni loro idea di proprietà”».

A margine vi era anche, sempre secondo la relazione, l’avarizia di alcuni ecclesiastici che non si ristettero dall’andare predicando presso il popolino che le chiudende erano un sistema odioso, forse per paura di veder calare, con la crescita dell’agricoltura, le loro decime sulla pastorizia.

In alcune aree dell’isola (Logudoro e Campidano) l’editto fu accolto in parte positivamente, soprattutto per il fatto che gli agricoltori erano in gran numero e finalmente potevano proteggere le loro coltivazioni; il rilancio dell’agricoltura portava a valorizzare vecchi istituti spagnoleschi come la roadia, la quale anch’essa, secondo le politiche della riforma, giovava a questi scopi.

Ma il malcontento era generale.

L’effetto negativo fu risentito in modo particolare nella zona delle Barbagie in quanto la chiusura dei terreni, che erano la risorsa primaria del territorio, fu contrasta da una parte rilevante delle élite locali.

Ben presto molti dei diseredati andarono ad ingrossare le file dei fuorilegge, dando al fenomeno del banditismo una virulenza ancora mai conosciuta.

Nel 1827 furono emanate altre norme che confermavano la sostanza dell’editto, negando titolo ad azione risarcitoria a quei proprietari che non avessero chiuso bene i loro “tancati” ed avessero patito danno perché vi fosse penetrato del bestiame; a coloro che non chiudevano bene erano anzi comminate ammende.

L’editto fu riformato nel 1830 e nel 1831, ma il livello del malcontento rimase sopra i livelli di guardia.

Gli incidenti crebbero in tal misura che nel 1832 si dovette istituire una commissione militare che fece repressione arrestando ed impiccando senza regolare processo (nel 1833 si emanarono norme per vietare la ricostruzione delle chiudende e ordinare che quelle abusive fossero abbattute); a questa seguì una commissione mista, composta di militari e civili, e ve ne fu anche una terza, che impiegò l’esercito e che era guidata da un giudice dell’Audiencia, ma quest’ultima operò in favore dei proprietari.

A seguito dell’editto del 31 maggio 1836, con il quale cessava la “baronale giurisdizione”, finalmente dal 1837 iniziò il riscatto dei feudi, “riacquistati” dal re, che si concluse nel 1846, riscatto che fu pagato attingendo alle tasse dei sardi.

Nel 1847 si attuò la “fusione perfetta” agli stati di terraferma della Sardegna, di cui venne abolita ogni autonomia residuale, senza che i problemi aperti dall’editto del 1820 fossero stati ancora risolti.

In ogni caso, la situazione delle chiudende era sempre “monitorata”, tanto che nel 1850 l’Angius, nella sua analisi dell’Isola, riservava per ciascuno dei comuni osservati un’apposita sezione in cui osservava quanto le chiudende fossero praticate.

L’editto delle chiudende fu idealmente seguito nel 1865 da una legge con la quale si aboliva l’istituto degli ademprivi e si imponeva una tassazione particolarmente onerosa sulle abitazioni; la tassazione aveva sì dei correttivi e prevedeva delle agevolazioni, ma queste erano in massima parte inapplicabili nella strutturazione urbanistica sarda, costituita di piccoli villaggi, perché prevista per quelle abitazioni completamente isolate. Si ebbe in Sardegna un esproprio ogni 14 abitanti, mentre la media negli Stati di terraferma era di uno ogni 27.000.

Questo provvedimento, insieme all’editto delle chiudende, è la causa dei disordini sfociati infine a Nuoro nel 1868 con la rivolta nota come “su Connottu”.

Dopo la rivolta fu istituita una Commissione Parlamentare di indagine presieduta dal Depretis.

Un’analoga riforma fu attuata anche in altri paesi d’Europa, come ad esempio in Inghilterra, dove il fenomeno fu chiamato delle “enclosures”, seguendo il principio secondo il quale solo la piena proprietà avrebbe permesso lo sviluppo di imprese agricole.

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27 commenti

  1. ….e distrusse i Nuraghi

  2. Bruno Demartis

    C’era una volta,il mio bisnonno proprietario di circa 360 ettari,oggi mi ritrovo con 3 ettari,quasi tutto e tornato come prima,oggi i nuovi proprietari si stanno acaparrando i terreni a gratis

  3. Gristolu Christophe Thibaudeau

    Fregati Vi hanno

  4. Bastianino Soddu

    Tancas serradada a muru, fatt’ana a s’afferra afferra,
    Si su chelu fidi in terra si l’aiant serradu puru…
    ( cit. Melchiorre Murenu)

  5. Gian Piero Unali

    Bastianino Soddu propriu gai este istadu!!!👋👋

  6. Bastianino Soddu

    Gian Piero Unali fidado cheriana!! Sos riccos Chi aiada teraccos meda a cont’issoro cana serradu cat’esisthidi, chie non d’aiada, a cantu sun resessidos a si serrare una tanchighedda.

  7. Gianpaola Spanu

    🤮🤮🤮🤮🤮

  8. Mariella Fonnesu

    Tancas serradas a muru/se su chelu fiada in terra/enta serrau cussu puru..

  9. Antonella Porru

    Brava Ornella Demuru

  10. Giovanni Ignazio Canu

    Sos rasos ana sighidu a ponere lardu, sos lanzos a buca abestha, comente sempre. In biddha sos othieresos e oschiresos ne sunu intrados intro idda fhatende muros. Sos perfughesos e tzeramontes s’ ana leadu sos terrinos comunese de Sa Serra, Sa Fiorida,su Ballarianu, Sa Mela, Sa Inistra e s’iscala, pro pagu si leana puru a Sa Sia.

  11. Gian Piero Unali

    Giovanni Ignazio Canu Giua’ bos ana furadu tottu. Accerchiati!!!

  12. Giovanni Ignazio Canu

    Gian Piero Unali
    Per contrastare i perfughesi e tzeramontesi il comune intentò unaq causa che duro decenni, si concluse nel 1910, con il rigetto dell’istanza e con una sentenza alla Ponzio Pilato, poiché Tula a livello politico non contava nulla ed anche per il disinteresse di chi amministrava il paese.

  13. Pittia da trubada

  14. Gian Piero Unali

    Giovanni Ignazio Canu come sempre vincono i prepotenti .

  15. Con annessa distruzione di nuraghi. Oltretutto

  16. E fece iniziare assassini e faide

  17. Gerolamo Bandu

    La storia si ripete con il decreto semplificazioni che consente a privati l’esproprio di terreni di altri privati.

  18. Rosalba Masia

    I Savoia e i piemontesi di conseguenza erano odiati. La nascita del banditismo.

  19. fattas a s’afferra afferra, si su chelu fiti in terra laian Serradu puru

  20. Esattamente Pabl

  21. Rosina Giudice

    Lasciamo fare sempre agli altri senza ribellarci

  22. Piemontesi fillusu de gagadia

  23. Giuseppe Salis

    Pablo Loi penso proprio di sì! Peccato

  24. Adriano Bomboi

    E’ una visione un po’ obsoleta dell’epoca che continua ad essere diffusa, soprattutto tra indipendentisti: perché se è vero che creò disparità e iniquità (in quanto il processo venne indubbiamente gestito male), è anche vero che le privatizzazioni (chiudende) potenziarono l’economia dell’isola, consentendogli di esportare i propri prodotti (come in Francia) e la nascita dei primi istituti di credito (e queste sono le cose che gli indipendentisti ricordano poco e nulla). Il vantaggio di questo libero mercato venne poi annientato dalla guerra doganale dell’Italia alla Francia, con cui ai sardi fu vietato di esportare, causandoci vari danni economici.

  25. Luca Baldussi

    Qualunque rappresentante politico delle questioni sarde che ha permesso l’occupazione sabauda delle cariche pubbliche in Sardegna sperando di ottenere vantaggi personali a scapito degli interessi sacrosanti dei cittadini sardi ricchi o meno fortunati va inesorabilmente criticato! Ancora peggio con la rinuncia a propri parlamenti dove si poteva salvaguardare una propria libertà di decisione e una propria autodeterminazione! Nel 1847 con la perfetta fusione si iniziò un processo di decadimento politico economico inesorabile ammesso dagli stessi nobili sardi e dai propri storici come il Carta Raspi! Forse ancora oggi subiamo gli effetti di quella sconsiderata decisione!

  26. Salvatore Bazzana

    Forse non completamente, perché cercò di modificare il diritto di proprietà legato a un potere incontrollabile e insindacabile dei boss locali. Credo che nessun diritto di possesso poteva essere rivendicato a qualsiasi livello legalmente!
    Qualcuno si lasciò forviare dall’illusione del superamento della proprietà privata invece esisteva solo il sopruso: i nulla tenenti avevano solo l’illusione di possedere qualche diritto fintanto che il potente di turno gli toglieva ogni illusione.

  27. Pietro Lapia

    Qualquadra non cosa😅

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