NATIVO DI ORANI, COMBATTE NELLA GRANDE GUERRA E VOLONTARIO IN SPAGNA: GIOVANNI MARCELLO, MEDICO GUERRIERO

Giovanni Marcello

Nato a Orani l’11 gennaio 1888, Giovanni Marcello era figlio di un cancelliere di tribunale di Gavoi, in seguito trasferito alla pretura di Orani, Bitti e perfino in Calabria. Aveva frequentato le elementari e le medie a Bitti, il liceo in Calabria, l’università a Bologna conseguendo la laurea in medicina nel 1919. Ancora studente ha partecipato da medico ufficiale combattente alla grande guerra nella Brigata Sassari, nel ‘18 fu ferito nella ritirata del Piave e rinchiuso per un anno nel campo austriaco di Sigmundsherberg. In seguito decorato dallo stato maggiore al valore militare.

Dal 1920 ha esercitato la condotta a Irgoli, Loculi e Onifai, paesi della Baronia dove imperversava la malaria sopraggiunta alla guerra, alla fame e alla miseria.

Dottor Marcello soffriva tanto per questa situazione di degrado. Si era specializzato in malariologia a Roma e curava i malati spostandosi in calesse da un paese all’altro, senza mai prendere un soldo da nessuno.

Nel 1930 fu medico a Gavoi dove ricoprì anche la carica di segretario del partito fascista. Sostenitore di Franco, dal ‘38 al ’39 combatté volontario in Spagna con un battaglione delle camicie nere. Durante il secondo conflitto mondiale, ormai 57enne, venne impegnato nel nord Sardegna come ufficiale medico non combattente. A Monti conobbe la sua futura moglie, laureata in lettere non eserciterà mai la professione. Perennemente innamorato della giovane consorte, per lui sarà sempre “la bella Irene”.  

Alla fine della guerra fu epurato dal governo italiano, vinse il ricorso al Consiglio di stato e venne reintegrato. Riprese a fare il medico di base a Gavoi dove negli anni ‘50 aveva messo su un ambulatorio arrivando ad operare in anestesia generale con etere, non solo casi di chirurgia in urgenza ma, per stato di necessità, anche casi di carcinoma ulcerato della mammella. In virtù dell’esperienza chirurgica che nel 15/18 aveva acquisito nella Brigata Sassari dove i medici dovevano far fronte a centinaia di feriti, faceva tutto: medicina, chirurgia, ortopedia.

“Col microscopio professionale Zeiss di sua proprietà – ricorda il figlio Giampiero medico chirurgo al San Francesco per 40 anni, oggi in pensione -, faceva i vetrini a goccia spessa, una tecnica di fissazione del sangue per vedere l’anofele, diagnosticava la malaria e la leishmaniosi. (La leishmania è una zanzara che colpisce molto i cani nelle zone umide e in Sardegna, inietta il parassita nel sangue che si riproduce come la malaria e da febbri improvvise)”.

Nel 1952 vinse la condotta per Nuoro dove fu anche ufficiale sanitario. Con Mulas, Pippia e Calamida era il quarto medico del capoluogo barbaricino.

“Era un padre perfetto – dice ancora Giampiero -. I suoi insegnamenti? Solo l’esempio di una persona che per 50 anni ha lavorato con onestà e correttezza. Un medico scrupoloso e affettuoso. I suoi pazienti lo accoglievano come uno di famiglia, amava tanto i bambini e si tratteneva a lungo con loro. Per questa sua passione voleva che io facessi il pediatra”.

Lavorava molto, oltre l’ambulatorio e le visite domiciliari era disponibile anche di notte perché a quei tempi non c’era la guardia medica. Conosceva ogni angolo, ogni viottolo, ogni casa di Nuoro.

Rientrava tardi la sera, leggeva la corrispondenza e i libri di medicina per tenersi aggiornato, studiava sempre. In pensione a 70 anni come medico di base fu insignito della medaglia d’oro dell’ordine. Ha tuttavia continuato a lavorare per la mutua da medico convenzionato, sempre massimalista per il numero dei pazienti.

Non andava da nessuna parte perché non delegava mai ad altri i suoi pazienti. Si concedeva due giorni al mare di Santa Lucia che raggiungeva con la sua seicento targata 5151 per trovare la famiglia in vacanza.  Faceva il medico anche lì perché non appena lo vedevano arrivare tutti lo cercavano.

Amava moltissimo la caccia ma, visti i suoi impegni, solo qualche volta riusciva ad andarci per far rientro dopo un paio d’ore.

Aveva una straordinaria carica umana, sempre generoso nel donare le medicine di cui disponeva e quando i pazienti lo ricompensavano con qualche omaggio, dava tutto alle famiglie che sapeva bisognose.

Ricordava sempre la tragica esperienza vissuta in Baronia. Parlava poco del primo conflitto mondiale, mai della guerra di Spagna “una mattanza fratricida”.

Una curiosità? Ce la racconta il figlio: “A gennaio, di fronte agli esterrefatti pastori che col gabbano militare tremavano dal freddo, liberatosi di documenti e cartucciera, si tuffava nel Taloro in piena e dopo essersi dissetato continuava a cacciare bagnato. Sosteneva che i centri di termoregolazione dell’organismo andassero educati”.

Scomparso a 98 anni, alcuni anni prima era stato colpito da un’artrite deformante, un infarto e una trombosi dell’arteria retinica che lo avevano condizionato nella guida, nella lettura e nella caccia.

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