“IO, ALUNNA DEL PROFESSOR KAROL WOJTYLA”: LA STORIA DI LEOKADIA SAS, POLACCA CITTADINA DEL MONDO E BITTESE D’ADOZIONE

ph: Leokadia Sas

di LUCIA BECCHERE

«Sono stata alunna di Karol Wojtyła all’Università Cattolica di Lublino quando lui era già vescovo di Cracovia. Un uomo straordinario!». Così ricorda Giovanni Paolo II Leokadia Sas in Buffoni, nata nel 1941 in un paesino a sudovest della Polonia vicino a Czstochowa dove si trova l’immagine della Madonna Nera. Il padre, figlio di contadini, aveva gestito un negozietto alimentare fino allo scoppio della II guerra mondiale quando le bombe tedesche causarono la prima vittima del paese.

Qual è il suo primo ricordo? «Nel gennaio 1941 tutta la mia famiglia fu tradotta ai lavori forzati in Germania, mio padre doveva lavorare le terre e mia madre fare la domestica per conto di un potente proprietario terriero. Mi rivedo seduta in una cantina dove da una finestrella penetravano tuoni e lampi, divertendo me e mio fratello all’idea di un temporale mentre mia madre piangeva. Vivevamo in 4 in una sola stanza ma nella grande casa altre famiglie polacche condividevano la nostra stessa sorte. Le donne si sporcavano il viso di carbone per sembrare vecchie e brutte e per sottrarsi alle violenze dei tedeschi, un giorno una ragazza si rifugiò nella nostra stanza e mio padre pur sapendo di incorrere in conseguenze nefaste non esitò a nasconderla sotto il letto salvandola da quelle bestie».

Come è stato il rientro? «Abbiamo dovuto rimettere a posto la casa, 3 delle quattro stanze erano occupate da ufficiali russi, con loro anche donne con diversi ruoli, noi disponevamo di una sola stanza e un piccolo ambiente dove mio padre aveva riaperto il negozietto con un po’ di roba recuperata qua e là, ma i russi non pagavano nulla di quello che prendevano».

Che infanzia è stata la sua? «Finita la guerra, la mia è stata un’infanzia molto felice, ero felice perfino di pascolare le oche con le mie amiche. Non avevamo nulla ma tutti i contadini si aiutavano a vicenda e i vicini che avevano le terre ci davano di tutto: patate, grano, carote e quant’altro. La mia Polonia era bellissima! La capitolazione della Germania, il 9 maggio 1945 sancì la fine della guerra e la nostra libertà. I russi se ne andarono lasciando dietro di loro il deserto, non c’era più niente e la gente cercava di riprendersi nutrendosi con i prodotti della terra».

con il marito

Ricorda il suo primo giorno di scuola? «A 6 anni sono andata a scuola dove ho imparato a scrivere sui cartoni con calamaio e inchiostro perché non avevamo neppure quaderni. Dopo 7 anni di scuola primaria, a 14 anni ho frequentato il liceo a 60 km dal mio villaggio, nei programmi scolastici come materia d’insegnamento erano inclusi 2 anni di addestramento militare, 2 volte alla settimana dovevo marciare in montagna e imparare a sparare. Dopo la maturità ho frequentato l’Università cattolica di Lublino, (l’insegnamento della religione era consentito dopo la morte di Stalin nel 1953) con insegnanti di alto livello che si erano formati prima della guerra mentre altri avevano acquisito il titolo perché partigiani. Volevo studiare all’Accademia delle belle arti, ma mio padre che non aveva in grande considerazione gli artisti, non me lo ha permesso e perciò mi sono iscritta in lingue. Ho studiato francese, italiano, latino, tedesco e russo, obbligatorio dalle elementari all’università. Al secondo anno di università ho avuto la fortuna di avere come professore Karol Wojtyła (1920-2005) che insegnava alla facoltà di teologia. Sapevo che era il vescovo di Cracovia (180 km da Lublino), niente di più. Arrivava col treno 2 volte a settimana per insegnare etica morale e storia della filosofia e siccome si era sparsa la voce che era una persona molto gioviale, allegra e simpatica, tutti noi andavamo a sentirlo perché non solo disquisiva sulla vita, sulla creazione e sulla morale ma sapeva anche scherzare. A delle suorine che durante la sua lezione si erano messe a chiacchierare, si rivolse in questo modo “Eccoci, quelle che hanno giurato l’arte del silenzio parlano più di tutte”. Parlava degli uomini, della fede che aiuta a vivere in quanto motore di tutto, parlava di come comportarci nella società dove siamo tutti uguali, tutti amici. Il suo linguaggio non era filosofico ma semplice perché voleva

che il suo messaggio arrivasse a tutti, la sua parola mirata ma sempre controllata per evitare problemi col regime. Si soffermava a parlare con i giovani e li sapeva riunire attorno a se: “Ragazzi – diceva con la sua bella voce – se volete venire organizzo escursioni in tenda nelle montagne, facciamo animazione all’aperto, facciamo i bivacchi”. Io non sono mai andata perché c’erano molti maschi e mi vergognavo. I miei compagni raccontavano che suonava la chitarra, si cantava, si dormiva tutti insieme e al risveglio ci si lavava nelle acque del ruscello. Faceva ore di meditazione sulla fede e sui problemi della vita».

Che uomo era? «Era amabile e moderno. Bello, magro, capelli biondo-scuro, vestiva con la sottana e la mantellina rossa corta. E quando ci vedeva seduti sulle panchine o sull’erba, ci chiedeva “Cosa fate, avete finito le lezioni o dovete ritornare in aula?”».

Ha un ricordo particolare di quel periodo? «Si era dato molto da fare per costruire la chiesa nella città operaia di Nova-Guta, centro metallurgico a pochi km da Cracovia e la vigilia di Natale aveva voluto celebrare la Messa nella piazza di questa cittadina, dove nonostante il gelo, attorno a lui si era radunata un’immensa folla proveniente da tutta la Polonia tanto che le autorità governative avevano capito che non potevano più ostacolare la sua richiesta. Oggi questa chiesa è una realtà meravigliosa. È stato mio insegnante per 2 anni, al terzo non ho più frequentato le sue lezioni perché preparavo la tesi».

Dopo la laurea? «A Varsavia ho conosciuto mio marito Nando Buffoni di Bitti che con una laurea in legge con indirizzo economico a Cambridge era venuto in Polonia per un dottorato in economia socialista col professor Hoscar Lange. Avevo 24 anni quando per una vacanza mi ha portato a Bitti dove sono stata accolta con non poca diffidenza perché provenivo da un paese povero e comunista, dove c’era già il divorzio con me portavo solo pochi libri. La zia che lo aveva allevato perché orfano, aveva difficoltà anche a pronunciare il mio nome e mi chiamava Leocrema. Per capirci lei parlava bittese e io francese. Nel ’68 ci siamo sposati civilmente a Stettino grande città portuale al confine fra Germania e Polonia perché, per la sua posizione geografica, assurgeva a simbolo di pace e di incontro fra il mondo capitalista e quello comunista. È stato un evento storico documentato dagli organi di stampa accorsi da tutte le parti. Il matrimonio religioso è stato celebrato subito dopo a Saccargia. Per qualche anno siamo rimasti a Cagliari, poi per 11 anni abbiamo vissuto a Manila nelle Filippine sempre per il lavoro di mio marito. Lì ho appreso con grande gioia della consacrazione di Karol Woytjła a Papa avvenuta il 20 ottobre 1978. In seguito ho sofferto moltissimo per il suo attentato». Leokadia ha vissuto in 9 paesi fra Europa e Asia, ha scritto un libro La vita è un viaggio, cronaca di una famiglia in continuo movimento perché figli e nipoti non dimentichino. A Manila ha studiato l’arte sublime e raffinata della pittura cinese e ha realizzato diverse mostre in Italia, Polonia e Manila. L’anno scorso ha celebrato 50 anni di matrimonio a Saccargia.

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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