UN VALOROSO DIFENSORE DELLA PORTAEREI ITALIANA NEL MEDITERRANEO: IL PILOTA FERRUCCIO SERAFINI, ABBATTUTO NEI CIELI DI MACCHIAREDDU IL 22 LUGLIO 1943

ph: Ferruccio Serafini


di Dario Dessì

Sono trascorsi 73 anni  da quel giovedì 22 luglio 1943, quando il sergente pilota Serafini, a bordo di un caccia Macchi 205 Veltro, si trovò accerchiato da quattro velivoli americani Curtiss  P40 Warwack. Dopo ave colpito una prima volta quello più vicino, continuò ad inseguirlo per colpirlo ancora, ma le armi di bordo, sia i cannoncini  Mauser che le mitragliatrici SAFAT in quel momento fatidico non spararono più; le munizioni 1.600 colpi in dotazione al Macchi erano esaurite.. Bastò un  attimo al pilota di Falcade, per realizzare la possibilità di fuga di quella  preda tanto agognata e la decisione  di inseguirlo con il motore del suo Macchi al massimo dei giri. All’inevitabile collisione segui un tremendo boato e il simultaneo precipitare dei due velivoli in fiamme incastrati verso  un  unico destino. Il corpo di Serafini fu ritrovato insieme ai frammenti del suo velivolo non lontano dalle Saline di Macchiareddu, tra i territori comunali di Assemini, Capoterra e Uta. Venne inizialmente sepolto nel vicino cimitero di Capoterra, per essere successivamente traslato in quello di Falcade.

Ferruccio Serafini era nato a Falcade in provincia di Belluno il 20 gennaio 1920 da Sebastiano e Maria Granz. Terminati gli studi nelle scuole di Falcade si era trasferito a Mestre, dove  lavorava assieme al padre nelle officini Breda e cullava la sua passione per il volo. Una  volta conseguito il brevetto di pilota civile, si arruolava volontario nella Regia Aeronautic, conseguendo il 5 giugno del 1940  il brevetto di pilota militare nell’aeroporto di Rimini Miramare. Nel mese di ottobre dello stesso anno diventava sergente pilota..

 Il 4 aprile 1942 fu assegnato al51° Stormo Caccia Terrestre, che era schierato nell’aeroporto di Ciampino Sud al comando del Tenente Colonnello Aldo Remondino.

Il suo primo teatro di operazioni fu l’isola di Malta, che ers sottoposta a continui bombardamenti da parte dei reparti di volo italo-tedeschi.

Il 6 novembre il 155º Gruppo, comandato dal Maggiore  Duilio Fanali, veniva trasferito sull’aeroporto di El Alouine in Tunisia per contrastare gli sbarchi anglo-americani in Nord Africa. Il Gruppo, dopo aver svolto pochissime  missioni rientrava in Italia, prima a Gela e poi subito a Ciampino Sud con il compito di difendere Napoli e Roma dai sempre più frequenti e micidiali bombardamenti delle forze aeree alleate. Nei primi mesi del 1943 intanto, la Sardegna,  l’inaffondabile  portaerei italiana nel mar Mediterraneo, subiva una serie di attacchi violenti soprattutto dai parte di velivoli americani  Boeing B-17 Flying Fortress, armato da 13 Browning M calibro 50 BMG  (12,7 mm),  Martin B-26 Marauder, North American B-25 Mitchell, Lockeed P-38 Lightning, Curtiss P-40 Warhakw.

Dopo aver occupato la Tunisia  le forze angloamericane stavano concentrando lo sforzo bellico verso il territorio nazionale italiano e le sue isole. Principalmenta contro la Sardegna, che era stata considerata da Mussolini la nostra portaerei nel mar Mediterraneo, ma che, ahinoi, in quel particolare momento bellico, il suo  schieramento aereo contava su una sola squadriglia da bombardamento terrestre dotata di Cant-Z 1007 bis, su un gruppo d’assalto con Junkers 87-D, su una squadriglia di siluranti S 79s e su due gruppi di caccia Fiat CR 42 e Fiat 50.

E fu appunto nei primi mesi del 1943 che le bombe americane incominciarono a cadere numerose, arrecando distruzioni e morte a Cagliari e dovunque in quella portaerei allo sbando nel mar Mediterraneo.

Il 17 febbraio 1943 Cagliari e i suoi abitanti conobbero il primo vero bombardamento dall’inizio della guerra. E dire che sino ad allora gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori non vedevano l’ora che suonassero le sirene d’allarme. Qualcuno soleva elevare una preghiera. “Ave Maria gratiae plena , fa che suoni la sirena, fa che venga l’inglesino, ma non l’ora di latino”. Per l’inglesino s’intendeva quel solitario aeroplano da ricognizione inglese “Pippo” che sia di giorno che di notte era sempre in volo nei cieli italiani.

Cagliari subi distruzioni e perdite umane. Un caccia bombardiere americano P38, staccatosi  dalla formazione che volava ad alta quota con alcuni spezzoni e micidiali sventagliate delle mitraglie di bordo produsse uno scempio su una folla inerme ed impaurita che si accalcava contro i sacchetti di sabbbia di una paratia sistemata a protezione di un rifugio antiaereo, mentre stava cercando disperatamente di accedere a una delle due entrate per mettersi al riparo. Al termine di quel bombardamento, segui un mesto pellegrinaggio dei sopravissuti negli ospedali, negli obitori, nelle chiese e nei conventi, dove si presumeva fossero stati portati i corpi delle vittime, in cerca di  qualche familiare  o conoscente, di cui si erano perse le tracce.

A complicare quella situazione di confusione  e di disperazione, a partire dalle prime ore della sera, incominciarono ad arrivare a Cagliari le autoambulanze che trasportavano i feriti di un raid di velivoli americani su Gonnosfanadiga, piccolo centro rurale non lontano da Iglesias, dove alcuni P38 Lightning, staccatisi da una formazione diretta contro l’aeroporto di Villacidro avevano fatto strage di un gruppo di donne affaccendate a lavare il bucato sulle sponde di un corso d’acqua e dei loro pargoli intenti a giocare nelle vicinanze. Quello fu un episodio bellico disumano e scellerato, destinato a rimanere negli annali delle follie del genere umano; anche perché a Gonnosfanadica non esisteva il benché minimo obbiettivo sia bellico che industriale, tale da giustificare quel terribile spezzonamento.

Ma tant’è qualche pilota americano che volava magari con una bottiglia di wisky accanto alla cloche, non trovando altri bersagli in quella Sardegna arida e desolata, non disdegnava, a volte, di infierire contro un gregge di povere pecore.

A seguito di quel primo bombardamento, il giorno seguente fu annunciata la chiusura delle scuole elementari di Cagliari

Venerdì 26 febbraio, in un pomeriggio quasi primaverile, venti fortezze volanti B-17-G sorvolarono la città di Cagliari. Da un campo seminato a grano, ad ovest dell’allora idroscalo di Elmas si vedevano  distintamente quei velivoli con un carico di 5.800 Kg. di bombe, che venivano sganciate  a grappoli in una sequenza esasperante. Stranamente, forse a causa del soffiare bizzarro dei venti in Sardegna, quasi non si perceviva il frastuono delle deflagrazioni e degli schianti. Si distinguevano però  colonne di fummo altissime, frammiste a fiamme e a bagliori.

A sentire qualche sopravissuto, nel tardo pomeriggio la città appariva irriconoscibile. Il giorno dopo si apprese che tutte le scuole del cagliaritano sarebbero rimaste chiuse sino a nuovo ordine.

Appena due giorni dopo, domenica 28 febbraio, tre ondate successive condotte da una cinquantina di fortezze volanti, scortate  da altrettanti caccia P38, lasciarono cadere su capoluogo sardo oltre 120 tonnellate di bombe dirompenti che causarono più di 700 vittime. Il giorno dopo ebbe inizio l’esodo umiliante degli sfollati verso località  ritenute al sicuro dalle incursioni degli americani.

Il 31 marzo una grossa formazione di fortezze volanti e di caccia pesanti si avventò su Cagliari, bombardando il porto e gli aeroporti. Pochissime vittime in città, tante a Monserrato; navi  e aerei distrutti o resi inutilizzabili.

Nel mese di aprile del 1943 gli attacchi si estesero al resto della portaerei sarda: Carloforte, La Maddalena, Mezzoschifo, dove fu affondato il Trieste alla fonda nella baia omonima, gli aeroporti di Elmas, Monserrato, Alghero Fertilia e Villacidro e i porti di Porto Torres, Arbatax e Sant’Antioco. Fu nuovamente Cagliari a subire il 13 maggio quattro incursioni due diurne americane tra le 13:35 e le 14:45 e ancora due notturne inglesi. 197 bombardieri medi e pesanti, appena contrastati dalla contraerea e dai pochi caccia italo-tedeschi, sommersero la città e il porto con centinaia di bombe che fecero crollare gli ultimi edifici ancora in piedi.

Pochi sanno che Cagliari, subito dopo Napoli, è stata la citta italiana più bombardata; solo pochissimi sanno che Cagliari è stata la città italiana che ha subito maggiori distruzioni a livello di Conventry (Inghilterra) o di Dresda (Germania). Cagliari, alla quale nel 1995 è stata dedicata un Emissione Filatelica assieme a Vittorio Veneto e Firenze, tutte e tre insignite di Medaglia d’Oro per il coraggio e la resistenza delle popolazioni civili, ebbe il torto di trovarsi a poche miglia dalle basi alleate in Marocco, Algeria, Tunisia e Libia.

Chi scrive, nell’estate del 1958, mentre si trovava in una base aerea americana in Arizona per visitare  il bombardiere Enola Gay, che il 6 agosto del 1945 aveva sganciato il little Boy, la prima bomba atomica su Hiroshima, non poté fare a meno di vedere una linea di volo con centinaia di B-17, gli stessi bombardieri che avevano distrutto Cagliari. Erano nuovi di fabbrica, allineati uno accanto all’altro, punta contro coda, Tutti protetti dagli agenti atmosferici con un velo di lubrificante preservante e ricoperti da uno strato di caucciu. Sarebbero bastate due ore  per renderli pronti al decollo per una missione bellica, naturalmente dopo la rimozione dei materiali protettivi e dopo i rifornimenti di carburante, di lubrificanti e di munizionamento vario. Dopo la fine della guerra le industrie aeronautiche americane avevano continuato a fabbricare aeroplani in quantità industriali. I contratti andavano rispettati.

A quel punto, subito dopo il bombardamento del 13 maggio 1943, che aveva distrutto quasi completamente la città di Cagliari, sia per la protezione dell’isola e sia per intercettare le formazini nemiche che volavano sull’isola per raggiungere gli obbiettivi nell’Italia Settentrionale e anche  nell’Europa meridionale, si decise di trasferire  il 51° Stormo C.T. In Sardegna, dopo averlo riequipaggiato con i nuovissimi caccia Aermacchi C.205 Veltro. Trovandosi in prima linea il 51º Stormo fu destinato ad esser riequipaggiato con i nuovissimi caccia Aermacchi C.205 Veltro, i primi dei quali arrivarono proprio nel mese di maggio. E pertanto  il 16 maggio del 1943 il 20° Gruppo comandato dal maggiore Gino Callieri decollava da Ciampino per raggiungere l’aeroporto di Capoterra, mentre la 378° squadriglia, reparto appartenente al 155° Gruppo si rischierava sull’aeroporto di Monserrato. Entrambi erano dei campi di fortuna, ubicati nelle immediate vicinanze di Cagliari.  Il personale rischierato non aveva ancora provveduto alla sistemazione delle linee di volo e a coordinare le attività logistiche, quando, subito dopo mezzogiorno di mercoledì 19 maggio i piloti del 20 Gruppo di Capoterra decollavano su allarme  con tutti i velivoli Macchi efficienti per contrastare 23 caccia Lightning P38, che scortavano 24 North American B25 Mitchell, provenienti da una base tunisina e diretti sul campo di Villacidro. I caccia americani, intercettati sul mare non lontano dalle coste della Sardegna, scatenarono una attacco simultaneo e impetuoso contro i  Macchi italiani, con l’intento di disperderne la formazione per poi, subito dopo, abbandonare  lo scontro e  defilarsi in ordine sparso. Ferruccio Serafini affermò di aver colpito ripetutamente un North American B25 Mitchell. dopo che la formazione aveva bombardato la base di Villacidro. L’aereo dopo essere precipitato  con una lunga scia di fumo nero verso ovest fu visto  infilarsi in mare. Anche altre piloti effettuarono delle rivendicazioni ma in realtà gli americani in quel giorno non avevano perso  alcun velivolo.

Il  28 giugno 1943  dalle basi sarde decollarono 25 velivoli, compresi sei della 378ª Squadriglia, per contrastare bombardieri e caccia alleati  in missione sugli aeroporti di Decimomannu, Milis, Alghero e Venafiorita, coadiuvati da velivoli da caccia tedeschi. La scorta dei caccia ai 72 North American B-25 Mitchell e 47 Martin B-26 Marauder  della 12th Air Force, fu approntata con i Curtiss P-40 del 325th Fighter Group e i Lochked P-38 Lightning del 14th Fighter Group. Gli scontri avvennero  in diversi teatri, con varie pattuglie delle forze aeree dell’Asse. Il sergente Serafini, a bordo del proprio Aermacchi C.205 Veltro, decollato da Monserrato, affrontava, insieme agli altri componenti dei “Gatti Neri”, una pattuglia di P-40 ad ovest di Decimomannu. Al termine dello scontro, egli rivendicò l’abbattimento di un caccia avversario, di un secondo in collaborazione con altri piloti e della probabile distruzione di un terzo.

Nella notte del 30 giugno Cagliari fu bombardata da una formazione di Wellingtons, bombardieri di medio calibro della RAF,  che lasciarono cadere bombe dirompenti e incendiarie nella zona intorno al porto e nel quartiere del Castello, causando danni ingenti sulle strutture che esistevano ancora nella città disabitata e in rovine.

Le incursioni nemiche diminuirono d’intensita nelle prime due settimane di luglio, anche perché lo sforzo bellico degli alleati era  indirizzato alle operazioni di sbarco e di occupazione della Sicilia. Il compito di difendere la portaerei sarda gravava sempre su i caccia residui del 51°, sempre pronti a contrastare l’azione dei caccia e dei cacciabombardieri americani che arrivavano a volo radente dal mare per sfuggire agli apparati radar tedeschi e cercare di sorprendere le difese.

Martedì 20 luglio 1943, mentre l’82° Divisione americana conquistava Sciacca e Menfi in Sicilia, sulla portaerei sarda, una grossa pattuglia di Curtiss P40 Warhakw attaccava l’aeroporto di Monserrato. Un Macchi, pilotato dal sergente maggiore Angelo Cerri, gravemente danneggiato, precipitava ai bordi del campo mentre era intento a un atterraggio di fortuna.

Il 22 luglio 1943 ebbe luogo l’ultima battaglia del Serg. di Serafini proprio a bordo del nuovo Aearmacchi C-205 Veltro. Nei quasi due mesi di permanenza del 51° Stormo in Sardegna il numero dei caccia a disposizione era diminuito e quello dei velivoli efficienti era limitato a quattro o cinque per squadriglia: mancavano inoltre le parti di ricambio e la possibilità di effettuare delle regolari ispezioni e revisioni. Nella 378° Squadriglia l’unico ancora valido esemplare dei Macchi 205 Veltro 3° serie  aveva il numero di matricola M.M. 92156 e veniva impegnato solo in casi di allarme. Tutti i piloti della squadriglia preferivano volare con quell’aereo e pare che addirittura, ogni sera tirassero a sorte chi avrebbe dovuto volare con quel Macchi il giorno seguente. All’alba di  giovedì 22 luglio il sergente Serafini si alzo presto perché sapeva che toccava a lui decollare con quell’aereo. Era da tempo che Serafini attendeva quel servizio d’allarme, anche se da alcuni giorni sopportava un fastidioso mal di denti. Durante la notte non aveva chiuso occhio a causa del mal di denti, ma anche per l’ansia di accingersi a volare con il Macchi C205 e di voler andare, appena in piedi,  in linea di volo per accertarsi che il velivolo fosse  efficiente.  Uno degli specialisti intenti a preparare il Macchi per la missione di guerra era il sergente armiere Alfredo Simeone, il quale  oltre a garantirgli l’efficienza del Macchi, che era stato rifornito e armato di tutto punto, aveva cercato di scherzare con lui assicurandogli che in quel giorno gli aerei americani non sarebbero arrivati. Ed invece poco prima delle dieci del mattino, subito dopo  l’allarme,  il serg. Serafini fu il primo a decollare verso il mare e verso il suo destino, mentre dagli aeroporti di Monserrato e Capoterra stavano per partire altri ventun Macchi per andare incontro a una formazione di Curtiss  P40  che avevano iniziato a bombardare Sanluri, per poi subito dopo andare a mitragliare e a lanciare spezzoni sugli aeroporti di Decimomannu e Villacidro.In quel combattimento fatidico per l’eroe di Falcade,  dieci Curtiss non fecero ritorno alla loro base in Africa Settentrionale e purtroppo,  tre caccia Macchi furono abbattuti contribuendo a rendere ancora più precaria l’efficaccia combattiva del 51° Stormo. 

Oggi il piccolo cimitero a Falcade custodisce i resti del Serg. Pilota Serafini che a soli 23 anni offrì la sua vita per la difesa della Sardegna.

Oggi al serg. Pilota  è intitolato il 51° Stormo dell’Aeronautica Militare  che ha sede a Istrana (Treviso)

Durante l’ultimo combattimento, Serafini, conseguì la sua nona rivendicazione, e per il coraggio dimostrato in quel frangente inizialmente gli fu assegnata la medaglia d’Argento al valor militare, trasformata con decreto del2 agosto 1946 in Medaglia d’Oro al valor militare.

Medaglia doro al valor militare
  «Ardito e valoroso pilota da caccia, giovane temprato nelle più ardue e dure battaglie aeree, era sempre luminoso esempio e sprone per coraggio, aggressività e decisione. Andando il combattimento, si offriva volontario quando maggiore era il rischio e non desisteva dalla lotta se non dopo aver sparato l’ultima cartuccia, collaborando efficacemente alle più brillanti vittorie del reparto e conseguendo magnifici risultati individuali. Nel corso di un accanito scontro con preponderanti formazioni nemiche, non pago del successo ottenuto con l’abbattimento di due incursori, uno sicuro e l’altro probabile, rimasto privo di munizionamento, si scagliava contro un terzo aereo avversario infrangendosi al suolo, in uno con esso, nell’ultimo supremo olocausto.»
Cielo della Sardegna, 22 luglio 1943.

Medaglia d’Argento al valor militare
  «Giovane pilota da caccia, partecipava a numerose azioni di scorta a bombardieri dell’Asse su munitissima base aeronavale nemica e successivamente, da un campo oltremare insistentemente offeso dal nemico, e da altre rischiose missioni di guerra. In aspri combattimenti con la caccia nemica ne sventava l’insidia conseguendo personalmente e in collaborazione brillanti vittorie. in ogni circostanza dava prove esemplari di perizia, aggressività e valore.»
Cielo di Malta e della Tunisia, agosto-dicembre 1942.
 

A Cagliari, alla fine del mese di luglio, non c’era più niente da difendere; il centro della città era un cumulo di macerie ed era difficile distinguere i punti da dove sui marciapiedi si elevavano i muri perimetrali  degli edifici.

Il lezzo insopportabile provocato dai cadaveri ancora inseppolti sotto le macerie, che richiamava la presenza di numerosi topi da fogna, non disturbava minimamente l’attività dei ladri, tra i quali anche alcuni militari tedeschi, che continuavano imperterriti a depredare le abitazioni semidistrutte e abbandonate.

Marcello Serra definì la capitale della Sardegna una necropoli dolente.

NOTE BIBLIOGRAFICHE:

Gianni Rocca I disperati – La tragedia dell’aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Milano, 1993 ISB  88-04-44940-3. –

Nicola Malizia Il 51° Stormo Caccia

Nicola Malizia Quelli del Gatto Nero

Nicola Malizia La Storia dell’Aeronautica Militare Italiana

Marco Coni / Francesco Serra La portaerei del Mediterraneo

Marcello Serra ldefinì la capitale della Sardegna una necropoli dolente.

NOTE BIBLIOGRAFICHE: Gianni Rocca I disperati – La tragedia dell’aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Milano, 1993 ISB  88-04-44940-3. –

Nicola Malizia Il 51° Stormo Caccia

Marco Coni / Francesco Serra La portaerei del Mediterraneo

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Un commento

  1. Salvatore Carboni

    Non è mai troppo l’impegno per ricordare queste vicende. Migliaia e migliaia di vite bruciate nella fornace di una guerra insensata. Bella la citazione bibliografica del bel libro di Gianni Rocca, insieme all’altro testo dello stesso autore sulle vicende della Marina. Letture che tutti dovrebbero fare. Cordiali saluti. SC

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