LA DIFFICILE RICOSTRUZIONE DELLA VITA DI ITALO DIANA, IL MISTERIOSO MAESTRO DEL BISSO DI SANT’ANTIOCO

Italo Diana con la moglie in una foto d'epoca


di Claudio Moica

La storia è una grande maestra, proprio per questo avere memoria di ciò che è stato non solo serve per ricordare ma soprattutto per fermare dei momenti che nel futuro potranno servire a ricostruire particolari momenti storici. Attorno alla figura di Italo Diana, nato a Sant’Antioco nell’ultimo decennio dell’800 e deceduto negli anni ’60 del secolo scorso, aleggia una sorta di mistero tanto da rendere difficile la ricostruzione di ciò che sia legato a verità o a leggenda. Le fonti attendibili e i documenti cartacei risultano essere pochi ma restano comunque i ricordi delle figlie che certamente non avrebbero nessun motivo di falsare la realtà.  Italo Diana, rimasto orfano di madre a soli otto anni, fu allevato ed educato da una schiera di donne: zie, sorelle e personale di servizio. Molto curioso e particolarmente abile e creativo, da loro assimilò le tecniche dei lavori di filatura, tessitura e preparazione dei materiali per il telaio, attività che vedeva svolgere quotidianamente dalle sue educatrici. Nonostante in quell’epoca le attività di filatura e tessitura fossero considerate una prerogativa femminile, Italo Diana coltivò una vera passione per questi lavori, investendo risorse familiari, pur con il disappunto di sua moglie che non condivideva il suo entusiasmo per il bisso, e negli anni 1923/1924 fondò una scuola di tessitura, nella locale via Magenta, allo scopo di far rivivere la tradizione del bisso marino in Sardegna. Si occupava personalmente del rifornimento della materia prima: egli era solito pagare i pescatori a giornata affinché gli fornissero le Pinne intere, poi si dedicava all’estrazione dei bioccoli di bisso mediante l’asportazione del peduncolo per evitare la dispersione dei filamenti durante l’esposizione all’aria ed infine rendeva le nacchere ai pescatori per la vendita o il consumo a scopo alimentare. “Fu il primo a riutilizzare il filamento della Pinna Nobilis per la tessitura. Riuscì, con sacrificio, a filare il bisso, riproducendo fusi simili a quelli rinvenuti nelle tombe egizie per la fattura delle vesti dei faraoni, e a tesserlo. Le ragazze della scuola erano intenzionate ad apprendere un lavoro che avrebbe permesso loro di produrre in proprio. Nei suoi primi lavori di tessitura al telaio inizialmente riprodusse i disegni della tradizione sarda e, in seguito, creò nuove composizioni” (testimonianza scritta, della figlia Emma Diana, disponibile presso l’archivio storico del Comune di Sant’Antioco). Quando aveva solo tredici o quattordici anni si costruì un piccolo telaio con il quale realizzò una bisaccia (testimonianza della figlia Mariangela Diana alla ricercatrice Felicitas Maeder, iniziatrice del progetto “Bisso marino”, Museo di Storia Naturale di Basilea). Nel laboratorio venivano tessuti tutti i materiali ma fu dalla lavorazione del bisso che derivarono i manufatti più apprezzati. La scuola riscosse una certa notorietà nel periodo fascista, le sue produzioni varcarono i confini regionali e furono esposte in varie mostre, a Venezia, Salsomaggiore e Sorrento oltre che naturalmente nelle varie esposizioni tenutesi in Sardegna a Cagliari e Sassari. “La lavorazione del bisso proseguì nella sua scuola fino al 1939, quando tutti i telai a disposizione furono requisiti e utilizzati per la lavorazione dell’orbace, il tessuto resistentissimo che servirà per le divise dei gerarchi fascisti e allo stesso Mussolini ne venne fatto dono. Con l’inizio della seconda guerra mondiale la scuola fu definitivamente chiusa e Italo Diana fu richiamato alle armi e assegnato alla postazione di Mont’e Cresia.” (Parti riprese dalla testimonianza, della figlia Emma Diana, corredata di foto e bibliografia. Archivio Storico del Comune di Sant’Antioco). “Italo Diana è stato maestro d’arte all’Istituto d’Arte di Sassari, la più antica scuola artistica della Sardegna, per lungo tempo punto di raccolta di talenti da tutta l’Isola. Fu lo stesso direttore, Filippo Figari, a volere Italo Diana tra i maestri della Scuola per la sezione “arti tessili”. (V. Mossa “L’istituto statale d’arte per la Sardegna” ed. Le Monnier, Firenze). Anche nel libro del 1964 “Un’antica industria sarda: il tessuto d’arte per i paramenti sacri” dello Zanetti si cita testualmente “Nell’Istituto statale d’arte di Sassari si trovava una Sezione tessitura dove, per la tessitura degli arazzi policromi, veniva usato anche il bisso marino: «… il bisso è di nuovo valorizzato nella confezione di tappeti policromi, nei quali s’inserisce colla sua magica tinta aurea splendente”. A lui è legato anche un aneddoto che si articola tra storia e politica e che ha come oggetto un arazzo, decorato da un fascio littorio e dalla scrittura “W il Duce” e destinato come dono a Mussolini. Pare che l’ornamento venne poi modificato in motivo decorativo e non venne mai consegnato al Duce. Attualmente il manufatto viene gelosamente custodito dagli eredi del Diana. Una storia avvincente, una storia di altri tempi che da alcuni viene tenuta a tacere mentre meriterebbe di essere riportata alla luce nella sua interezza perché se le poche notizie corrispondessero al vero il paese lagunare deve rendere merito a Italo Diana per aver scommesso sulla sua passione nel lavorare il Bisso e senza lui probabilmente non si sarebbe tramandato negli anni questa grande arte. Forse è arrivato il momento che le istituzioni valorizzino la figura di un loro concittadino che ha dato lustro alla Sardegna, lasciando traccia della sua vita con degli studi approfonditi o, perlomeno, dedicandogli una via visto che da morti le onorificenze non vengono più concesse.  

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